L'Erba del vicino.


Di campagne contro gli abusi, domestici e non, sulle donne ne esistono gia'. E' il momento di quelle contro la violenza condominiale?
Di dj Lueeza.

''The worst scar you only see with your eyes shut. If you've suffered sexual abuse call 180 and know your rights.''
Agency: Santa Clara, Brazil. Qui un altro soggetto della campagna e qui un altro ancora.

Nel giugno 1994, i televisori americani si sintonizzarono su un unico canale: quello dell' omicido di Nicole Brown Simpson e Ron Goldman - e sul conseguente processo.

Nicole era una bella donna di 35 anni, ex-moglie della star del football (da giocatore prima e commentatore poi) OJ Simpson. Ron Goldman era uno che faceva il cameriere, il personal trainer, si inventava modi di vivere una bella vita che non gli apparteneva naturalmente. A quanto pare, lui e Nicole erano solo amici.

La prima scena proiettata sugli  schermi fu quella di un SUV bianco (un Ford Bronco) su cui OJ scappava dalla polizia dopo il ritrovamento dei corpi. L'ultima, mesi dopo, quella di un verdetto assurdo dove OJ veniva assolto per paura di moti razziali in una Los Angeles già ferita più volte dall'odio collettivo.

Mesi e mesi di schermi puntati su un unica location - l'aula del processo - e un circo mediatico senza precedenti. Nemmeno la prima Desert Storm, con Peter Arnett che telefonava da sotto un tavolo mentre scorrevano immagini del cielo di Bagdad bombardata, aveva avuto quell'impatto. Nel processo Simpson c'era tutto: la coppia Barbie bianca/Bruto nero che prima si era amata poi lasciata malamente (lei aveva chiesto il divorzio a causa di abusi da parte di lui), il possibile "tradimento" con Goldman (ma de che? non erano divorziati?), la star in disgrazia, il razzismo bianco e la rabbia nera. Soprattutto, c'era in primissimo piano la triste questione delle donne vittime di abusi in famiglia; una piaga conosciuta ma spazzata sotto il tappeto, un male sociale considerato un sommario malessere, un paradosso zen di grida di aiuto che restavano inascoltate.

Il processo Simpson finirà per essere ricordato come un esperimento surreale di razzismo capovolto: OJ accusato solo perché nero, mentre in realtà alla fine la giuria lo riscatta dal suo ruolo di carnefice riconoscendolo vittima di secoli di ingiustizia razziale. Ma nei dieci mesi di dibattito processuale, il pubblico americano fu costretto a guardarsi dentro, a legittimare le sofferenze e le paure di tante, troppe donne, troppe vittime: si cominciò a parlare con franchezza di violenza (anche sessuale) domestica, di maltrattamenti fisici e psicologici, di asservimento e rassegnazione di chi cadeva in questa perfida, subdola ragnatela. Si parlò di forze dell'ordine che minimizzavano, di uomini che la facevano franca anche di fronte a volti martoriati, di personale medico che sottoscriveva senza porsi troppi problemi le ripetute scusanti del "sono caduta per le scale" o "ho sbattuto contro la porta". Si parlò di dove potersi rifugiare, a chi chiedere aiuto, come farsi sentire e come non farsi mai schiacciare l'anima dall'ennesimo schiaffo.

Nel 1994, il mio matrimonio andava a rotoli. La favola rock si era trasformata in un'odissea di incomprensioni, tradimenti e violenze. Al circo mediatico Simpson devo la mia presa di coscienza e di coraggio, la spinta che mi portò a concepire se non altro l'idea di uscirne. Per fortuna non ho avuto bisogno di case rifugio ma solo di una buona terapeuta e di un avvocato sui generis. Il 4 luglio '95 (data scelta per il potere simbolico dell'Independence Day), lasciavo il domicilio coniugale e ricominciavo. A febbraio '96 concludevo il divorzio, in maniera tutto sommato indolore.

Oggi, l'orrore della cronaca ci costringe a guardare da vicino l'ennesima evoluzione della violenza ingiustificata. Anche stavolta la tragedia è domestica, ma i carnefici sono persone che non fanno parte della stessa famiglia - e quindi decadono i discorsi legati a gelosia, controllo e possesso. Oggi sappiamo che la violenza si può scatenare in maniera così efferata e irragionevole perché si fa troppo rumore, per un marito immigrato, per un bimbo invidiato. Per non andare davanti a un giudice a risolvere una disputa di tipo talmente scemo da essere identificata col cliché della "bega condominiale". Bega condominiale, praticamente un non-crimine di genere, dove fino a questo momento se andavi alla polizia a dire che il tuo vicino ti aveva minacciato ti guardavano come se la scema fossi tu. Una mia amica, un paio di anni fa, è stata aggredita dai suoi vicini perché lei aveva fatto osservazione su come tenevano il loro cane. Quando si è presentata al commissariato con i punti in testa, l'hanno convinta a non sporgere denuncia. L'hanno invitata a farsi gli affari suoi, a stare tranquilla perché tanto non c'era niente che si potesse fare. Lei, grazie al cielo, ha trovato al volo un altro appartamento e si è lasciata alle spalle tutta quella brutta storia.

Chi è venuto a casa mia sa che anch'io ho dei vicini impossibili. Non temo sviluppi criminali, per carità; spero solo, se mai ce ne fosse bisogno, di riuscire a far capire a chi dovrebbe proteggermi che ormai i confini fra bene e male sono completamente andati, e che anche una coppia di mezza età può essere pericolosa - tanto più se sbandiera ai quattro venti la sua rabbia.

La tristezza enorme che mi deriva dalla strage di Erba nasce dalla sensazione di avere perso definitivamente dei punti di riferimento comportamentali: ennesima tacca su una scala già troppo lunga, dopo mariti che uccidono perché perdono la proprietà della moglie, madri che uccidono perché perdono la brocca, ora aggiungiamo anche i vicini macellai che picchiano, sgozzano, incendiano, per poi dirsi che "senza di loro si sta meglio".

Non so immaginare quale sarà il prossimo passo. Né lo voglio.

Lueeza.

Pubblicato: Ven - Gennaio 12, 2007 ;    


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